L'Aquila, il giorno del ricordo / Notizia

Martedì 6 aprile 2010 - La Stampa

L’AQUILA (6 apr. 2010) - Alle 3.32 del 6 aprile 2009 una scossa di magnitudo 6.3 provocò all’Aquila e nel circondario centinaia di crolli che causarono la morte di 308 persone e il ferimento di altre 1.600. La gente si riversò immediatamente per le strade e nelle piazze; attonita, impaurita, inerme, mentre continuavano a cadere pezzi di muri e cornicioni. In pigiama, senza portare nulla con sè, spesso sanguinanti, i cittadini, provati da tre mesi di sciame sismico, si radunarono senza un programma - non ne erano stati predisposti - cercando di sapere che fine avessero fatto i famigliari, gli amici.

Molti non poterono fuggire, bloccati dalle macerie, molti altri non lo fecero per soccorrere i propri cari. E non sempre ci riuscirono. Dalle macerie cominciavano a spuntare i primi corpi. La città era nel caos; i telefoni andati in tilt non consentivano comunicazioni decenti, e a decine partirono dalle altre città per raggiungere il capoluogo abruzzese dove avevano i figli a studiare. Intere famiglie, studenti non aquilani, rimasero «per sempre» sotto alle macerie. Mezz’ora dopo partì la macchina dei soccorsi: da tutta Italia arrivarono centinaia di volontari della Protezione civile, delle associazioni, i vigili del fuoco: un esercito per cercare di organizzare una città distrutta, rasa al suolo, senza più nulla; per aiutare a scavare nelle macerie, a dare una coperta, un bicchiere di acqua, una parola di conforto, una flebile speranza a chi era convinto che le centinaia di scosse dei mesi precedenti e le due della stessa sera mai avrebbero avuto il coraggio di riservare la "botta". Quella "botta" che, a un anno di distanza, non è stata metabolizzata e chissà se mai lo sarà.

Stanotte migliaia di aquilani si sono ritrovarti nella loro città ancora ferita, con attorno 4 milioni di tonnellate di macerie, con le attività che sono scomparse o stentano a riprendere, con un tessuto sociale modificato dalle 19 new town realizzate per dare un tetto prima che arrivasse l’inverno gelido. In Piazza Duomo, che fu il primo grande ritrovo mentre la terra non smetteva di tremare, stanotte sono state ricordate le vittime, ma, soprattutto, si è cercato di recuperare una identità che rischia di scomparire tra gli alberghi della costa, le sistemazioni fuori città, la difficoltà di ristabilire normali relazioni sociali, con 53 mila persone ancora assistite e una ricostruzione che stenta a ripartire.

Circa venticinquemila persone si sono radunate con fiaccole, candele e lumini. In piazza Duomo sono confluite quattro lunghe fiaccolate che hanno attraversato le poche strade aperte del centro. Qui sono stati letti i nomi dei morti, poi alle 3:32 - ora della devastante scossa dello scorso anno -, le campane della chiesa delle Anime Sante hanno suonato a morto con 308 rintocchi. I cortei erano aperti ognuno da striscioni retti dai familiari delle vittime. In uno, che aveva anche le foto di otto studenti, si leggeva: "Assassinati nella casa dello studente".

Le fiaccolate si sono svolte in silenzio e senza alcun indicente. Molti cittadini hanno raggiunto il piazzale di Collemaggio, dove alle 4 c'è stata la messa solenne. Un breve e contenuto applauso ha seguito, dopo qualche minuto di raccoglimento, i 308 rintocchi di campana. Una persona presente alla commemorazione ha accusato un lieve malore, probabilmente a causa dell’emozione.

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